Viaggio nel progetto che rende il traffico un’arte
GRAArt è un progetto di Arte Contemporanea Urbana che ripercorre la storia e il mito di Roma attraverso opere di Urban Art, realizzate da artisti internazionali, sotto la consulenza della scrittrice Ilaria Beltramme sulle pareti del Grande Raccordo Anulare. Il progetto è nato da un’idea di Davide Diavù Vecchiato, fondatore di MURo, ovvero Museo di Urban art di ROma e promosso da Anas, oltre che patrocinato dal MiBACT (MiBAC – Ministero per i Beni, le Attività Culturali e del Turismo).
GRAArt sottolinea la ricchezza culturale ed artistica della Città Eterna e valorizza le storie di cui si è resa protagonista nei secoli, con l’intento di ricucire uno strappo culturale che esiste tra centro storico monumentale e periferie della Capitale. I murales di GRAArt infatti, dipinti in zone periferiche di Roma, sono indissolubilmente legati a miti, leggende ed aneddoti – spesso poco considerati se non addirittura dimenticati – che interessano memorie ed identità di quelle specifiche aree della città.
GRAArt invita perciò i visitatori ad intraprendere un percorso artistico culturale – e di interesse turistico – attorno al Grande Raccordo Anulare per scoprire i murales che compongono l’intero progetto e raccontano la Storia della Città Eterna. L’immagine di questa imponente infrastruttura urbana viene rivisitata e si trasforma essa stessa nel circuito di un tour a tappe, una via crucis in cui ogni singola stazione narra una vicenda della Roma antica, come una caccia al tesoro in cui il tesoro stesso sono le opere di Urban Art da trovare.
Una sorta di “Benvenuti a Roma”, che accoglie sia i turisti che entrano in città che i tanti abitanti che la vivono ogni giorno, scoprendone sempre uno scorcio diverso ed entusiasmante. Un viaggio senza tempo, a ben guardare, che ci accoglie, a prescindere dalle nostre origini, facendoci sentire tutti cittadini dell’arte e del mito.
Periferia e centro, tradizione e modernità, mito e storia. Questo è il legame che si propone di realizzare questo progetto di arte diffusa.
Se si inizia il tour dall’uscita 18 del GRA, ci si imbatte nell’opera “Ventrem feri Imperium” di Chekos, artista leccese che ha voluto ricordare Nerone in un processo inverso alla damnatio memoriae di cui fu vittima, ovvero la cancellazione di ogni traccia di un imperatore romano caduto in disgrazia davanti al Senato. Questo murales vuole indagare una delle leggende di Roma più note, quella del “paranoico” matricida che ha dato fuoco a Roma.
La fermata successiva è quella dell’“Obelisco Nasone” di Maupal, un omaggio alla Roma rinascimentale e a Papa Sisto V, che ha terminato i lavori dell’acquedotto Felix. Il nasone rappresenta il fenomeno della distribuzione gratuita dell’acqua ai romani in tutta la città. Quale simbolo migliore di condivisione e di bene pubblico di questo?
Flavio Campagna, in arte Kampah, nella sua opera dal titolo “I sette REeves” rende omaggio a Steve Reeves protagonista de “Le Dodici Fatiche di Ercole” del 1958 e di “Maciste”. L’argomento cinematografico omaggia Cinecittà, la Hollywood italiana e i suoi kolossal.
“La Vita e la Morte” nella via Appia, ad opera di Camilla Falsini. In questo murales sono rappresentati tre fiori variopinti al centro e, ai lati, dei bucrani (o teschi di bue, arieti o altri animali cornuti): questi ultimi rappresentano i due eserciti di Massenzio e Costantino che, nel 312 d.c., si sfidarono a Ponte Milvio. Il sacrificio di Massenzio – che morirà nel Tevere – e le lacrime rosse che scendono dagli occhi dei bucrani rappresentano sia il cambiamento di Roma (da pagana a cristiana) sia l’intento di fertilità che gli antichi romani volevano trasmettere, spargendo il sangue di bue sul terreno come buon auspicio. In tutto ciò, il bucranio rappresenta il senso di rinnovamento che la città capitolina ha periodicamente.
Nell’opera di Diamond “Lucrezia”, viene presentata una mater familiaris che rispecchia tutti i dogmi della donna tradizionale romana: Lucrezia è la moglie di Collatino. Quest’ultimo, mentre è in battaglia contro Sesto Tarquinio, decide di fare una scommessa con i suoi compagni sulla fedeltà delle rispettive mogli. A tutti va male eccetto che a Collatino; Sesto Tarquinio, invidioso di ciò, costringe la moglie di quest’ultimo a giacere con lui e lei, per la vergogna, si suicida in nome dell’onore romano. Questa donna rappresenta l’essere musa, madre ed esempio di massima virtù in un mondo a misura maschile.
La “Mezzadria” di Gojo è ispirata a una pratica molto presente fino agli anni Settanta del Novecento nella zona di Roma Sud: nell’opera, secondo l’artista, si può osservare il confronto tra la campagna e la città. Ragionare sull’Agro Romano (popolato non solo da abitanti della campagna di origine romana) ci porta a riflettere anche sull’aristocrazia che possedeva quelle terre. La campagna e ciò che è sopravvissuto alla speculazione edilizia si sovrappongono una sull’altra, fino a diventare un tutt’uno… e nessuna delle due merita di essere dimenticata.
In “Enea, Anchise e…” di David Diavù Vecchiato viene ripreso il mito della fuga da Lavinium dell’eroe troiano con tre personaggi (due uomini e una figura femminile) che rappresentano il passato, il presente e il futuro. La scena si svolge su uno sfondo rosso sangue e l’autore richiama anche la “Grande Onda” di Kanagawa che fece conoscere ai pittori impressionisti europei una cultura non più avvicinabile. Oltre alla dimensione emotiva, quindi, c’è anche quella storica e fisica con quest’onda: la linea retta, delimitata dalla curva della lancia che vola in aria, racconta la vicenda di un re sconfitto che fonde il mito con la storia e il tempo con lo spazio. Così le radici arcaiche del sogno di Roma possono trasformarsi in archetipi, per poi raccontarci di nuovo di eternità e speranza.
La successiva opera, quella di Julieta XLF intitolata “Untitled”, rappresenta due creature originarie della tradizione etrusca: la lupa e la sirena bicaudata con testa/corpo di uccello. Durante i primi tempi cristiani questi due elementi venivano utilizzati, per poi essere abbandonati perché di matrice pagana. Le due creature mitologiche si sciolgono in un abbraccio che rappresenta gli opposti come lo Ying e lo Yang, uniti come a far proseguire la nostra specie. Un’unione anche a livello culturale, molto auspicabile nella nostra società contemporanea.
Zed 1, in “Sotto la Maglianella”, ci rappresenta la zona di Roma Nord-Ovest come sarebbe dovuta essere circa 200.000 anni fa, con resti di elefanti, di tigri, di gatti e di umani. Si pensa che lì ci fosse un fiume gigantesco a dare la vita, seppur oggi dimenticato.
Nel murale “SheWolf Queen” è importante il messaggio che viene trasmesso: la lupa, simbolo di diversità poiché albina, rappresenta la città di Roma e il coniglio rappresenta l’Agro Romano.
Torna sul Gra David Diavù Vecchiato con “Ego te victima, capio”: è un’opera che rende omaggio alle vestali e al fuoco sacro che custodivano.
Infine, nell’opera di Solo “The Mummy of The Red Cave”, si narra del ritrovamento di una bambina mummificata con i suoi oggetti, morta presumibilmente per pleurite.
Siete curiosi di continuare il viaggio all’interno del GRAart? Il sito per vedere le restanti opere è www.graart.it/mural/, buona continuazione!