a cura di Maria Grasso
La rivista di Argolab, trova i suoi argomenti in ciò che sta accadendo nella realtà esterna e li cerca e crea attraverso un continuo processo di conoscenza e scambio con la realtà interna di chi scrive. La relazione e la comunicazione tra interno ed esterno sono condizioni necessarie all’esistenza, di cui il “perché” non può dirci molto. Il “perché” pone un nesso di causalità lineare che non può informarci della complessità di questo processo nello specifico della realtà umana.
Il numero sulla Street art nasce da una realizzazione di cui ci stiamo occupando ed esce in occasione della sua inaugurazione.
Dall’esterno è arrivata la proposta di realizzare un progetto di street art, perché: a Torre Maura non c’è come negli altri quartieri; i colori possono abbellire gli spazi grigi della cementificazione urbana e rigenerare uno spazio di periferia lo renderebbe più abitabile. Per questi e tanti altri buoni motivi, raggiungibili in molti modi diversi, era necessario chiedersi come realizzare questo progetto.

Tutte le persone che costituiscono Argolab sono state coinvolte in un lavoro gruppale per fare emergere i contenuti e le immagini che potessero rappresentarli. I partecipanti al nostro laboratorio di Urban art hanno approfondito la competenza tecnica con ColorOnda (progetto di street art a Tor Bella Monaca) e iniziato a produrre le immagini attraverso la mano del nostro maestro Taf. I contenuti emersi nel gruppo riguardavano il cambiamento climatico e il suo impatto sui viventi, poi è arrivata la scelta dei 4 muri su cui realizzare le immagini: uno spazio vicino la nostra sede, che delimita un’area verde vivibile, ma mai vissuta.
Qualche giorno dopo, la comparsa di un’immagine femminile su un muro vicino, ci ha portati a contattare Sole, che ha accettato di incontrarci e conoscere il nostro progetto al quale ha partecipato condividendo consigli competenti e creando immagini nuove in armonia con le nostre.
Quando le immagini avevano preso forma, è emerso il desiderio di poterci interagire e abbiamo incontrato Ivan Macera, che ha progettato e realizzato con noi le installazioni sonore da integrare negli ambienti naturali rappresentati sui muri. Ivan ha pensato di disporre i materiali secondo le linee della mappa del luogo in cui ci troviamo ed ha coinvolto la sua rete di conoscenze nella raccolta dei materiali per realizzarle.

Il progetto “Civico 6”, da cui parte la proposta iniziale, ha collaborato e condiviso risorse con noi, dando origine a un’altra bella realizzazione per il territorio di Torre Maura: l’unità mobile solidale con lo sportello dei diritti e distribuzione di pacchi alimentari.
Infine, arrivato il momento di dare il nome a quanto avevamo realizzato, abbiamo pensato a un luogo di passaggio ove ci si incontra per raggiungere altri luoghi: un incrocio. Il “Crocicchio” ci racconta degli incontri che abbiamo fatto mentre realizzavamo il progetto ed evidenzia la peculiarità della street art. Quando decidiamo di andare a visitare un’esposizione artistica, scegliamo attivamente di andare a vedere certe immagini, mentre la street art si incontra. I muri della nostra città sono lì a raccontarci storie che noi attraversiamo e, anche se non abbiamo il tempo di fermarci a vedere, le immagini sono lì a creare l’ambiente in cui ci muoviamo.

Non possiamo sapere se i “perché” da cui nasceva la proposta si realizzeranno, ma siamo certi che avremmo potuto perseguire lo stesso nesso di causalità in tanti modi diversi, per esempio delegando a un professionista “il disegno” di qualsiasi immagine. Invece, abbiamo dedicato circa un anno del nostro tempo impegnandoci in un “come” che prevedesse un pensiero, un metodo che ha determinato un percorso collettivo, che può generare tanto altro ancora. Abbiamo appreso nozioni, abbiamo imparato a progettare insieme e a condividere: desideri, paure, spazi, risorse, a rispettare i tempi imposti dal ritmo delle piogge e quelli dei compagni di lavoro che talvolta non potevano esserci, riuscendo a rispettare la scadenza concordata per il “fine lavori”. Soprattutto abbiamo fatto esercizio di rinunciare all’espressione totale dell’uno, per poi ritrovarci ognuno moltiplicato nell’incontro con la diversità dell’altro. Per questo rivolgo un ringraziamento speciale agli artisti che hanno partecipato integrandosi nel progetto collettivo.
A questo punto, siamo pronti per comprendere cosa significhi la definizione “dal basso”, che spesso sentiamo attribuire a questi progetti. Non penso si tratti di un ordine gerarchico, in cui dovremmo prevedere “un alto”, se fosse così indicherebbe solo una mera questione di potere e non avrebbe senso. Il basso è stato lo strumento generatore del ritmo collettivo, secondo il quale tutti abbiamo iniziato a muoverci insieme nella stessa direzione.
Dare un nome alle cose non è mai stato un vezzo, ma rappresentazione di significati, pensiero che organizza il come, trasformando il perché.
Un ringraziamento speciale a Carolina, Goofy, Ivan, Sandro, Soledad e Taf.