La foto della premiazione dei duecento metri alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 è diventata un simbolo del Novecento. Tommie Smith e John Carlos, vincitori del primo e terzo posto, alzano il pugno chiuso guantato di nero, in onore delle battaglie civili degli afroamericani. Ma in quella foto c’è una terza persona, l’australiano Peter Norman, che ha corso e vinto la medaglia del secondo posto e che ha avuto lo stesso coraggio, ma non è ricordato alla stessa stregua degli atleti statunitensi.
Ripercorriamo gli eventi. E’ il 1968, un anno pieno di tensioni: il 4 aprile viene ucciso il leader del movimento civile per gli afroamericani Martin Luther King, il 6 giugno viene assassinato il Presidente degli Stati Uniti d’America Bob Kennedy, i carri armati sovietici entrano a Praga il 20 agosto, l’America e l’Europa sono travolte dalle proteste dei movimenti operai, delle organizzazioni studentesche e dai movimenti anti-razzisti. In questo clima si svolge nell’ottobre di quell’anno la diciannovesima edizione dei Giochi Olimpici.
Peter Norman è un velocista australiano che riesce a vincere la medaglia d’argento di quella finale. Prima della premiazione, Carlos e Smith gli comunicano che dopo aver ricevuto la medaglia hanno intenzione di mostrare il pugno chiuso, in segno di protesta per la segregazione razziale che sta avvenendo nel loro Paese.
Gli atleti hanno solo un paio di guanti e così ne utilizzeranno uno ciascuno. Un guanto nero da mostrare, nero come la rabbia della loro gente. Anche Norman decide di partecipare alla protesta e si fa dare una spilletta del “Progetto olimpico per i diritti umani”, un’associazione fondata l’anno prima per combattere il razzismo nello sport e che aveva orchestrato quella protesta.
Il gesto di Smith e Carlos diventa il simbolo della lotta per i diritti civili, ma i due atleti pagheranno cara la loro protesta. Per aver fatto una manifestazione politica alle Olimpiadi, verranno subito sospesi dalla squadra statunitense, squalificati a vita ed espulsi dal villaggio olimpico.
Il gesto di Norman passò inosservato ai molti, ma l’atleta fu considerato complice della protesta nel suo Paese. Nonostante avesse ottenuto i tempi per le qualificazioni alle Olimpiadi di Monaco del 1972, il Comitato Olimpico Australiano fece in modo di boicottarlo, preferendo non mandare nessuno piuttosto che mandare lui. Non fu più convocato per rappresentare la sua nazione in nessuna manifestazione sportiva.
Tutti e tre gli atleti ebbero ripercussioni sulle loro vite personali. Smith e Carlos subirono critiche e ricevettero minacce e intimidazioni, ma comunque divennero simboli della protesta e ricevettero premi. Norman vivrà di stenti, nell’anonimato assoluto e sarà distrutto dalla depressione e dell’alcolismo.
Non venne nemmeno invitato ai Giochi Olimpici di Sydney nel 2000, né come tedoforo né come spettatore, come se non fosse mai esistito. Peter Norman morirà a 64 anni in solitudine il 6 ottobre del 2006. Tuttavia John Carlos e Tommie Smith decisero di accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, portando la sua bara in spalla durante il funerale.
Solo nel 2018 il Comitato Olimpico Australiano decise di riconoscere l’impegno civile del più forte velocista australiano di tutti i tempi. Gli venne assegnato l’”Ordine al Merito” : la massima onorificenza sportiva , per il record australiano dei 200 metri a Città del Messico, che ancora oggi Peter Norman detiene il record che nessuno potrà strappargli è e, resterà sempre,quello della solidarietà emotiva.
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