Il “tassista volante”: Giorgio Calcaterra e la sua passione per la corsa
A cura di Gael Sapori e Veronica Angioni
Giorgio Calcaterra, classe 1972, è uno dei più grandi maratoneti italiani: pluripremiato, è soprannominato “il tassista volante”. La sua passione per la corsa inizia nel 1982 a soli dieci anni, quando partecipa alla Stracittadina di Roma. Nel 2000, oltre a realizzare il primato personale con 2h 13’15”, stabilisce il record mondiale di 16 Maratone corse in un anno sotto le 2h 20’, ricevendo per questo un importante riconoscimento dalla rivista specializzata americana “Runner’s World”.
Come mai hai scelto proprio la corsa?
È stato un istinto, io corro da quando sono bambino e i bambini giocano correndo! Un giorno poi, papà mi iscrisse ad una gara ed ha visto che mi divertivo, all’arrivo mi ha visto felice. Era la ‘stracittadina’ (corsa non competitiva) della Maratona di Roma del 1982 e ho cominciato a partecipare ad altre gare dove mi accompagnava lui. Mi sono appassionato, ma è stato soprattutto l’istinto. Mi piace correre, mi fa star bene.
La corsa è la tua passione. Ci sono altri sport che ti hanno appassionato come la corsa?
In realtà sì, ma li ho abbandonati. Sono determinato solo sulle cose che mi piacciono: prima di fare la corsa ho provato il calcio, il judo, il nuoto ma non mi hanno appassionato. Non li ho portati a termine, ma è giusto provare: ho scelto la corsa perché era quello che mi faceva star bene.
Hai scritto anche un libro “Correre è la mia vita” (edizioni LSWR, 2016), in cui la passione è centrale. Puoi parlarne?
Ho scritto la mia autobiografia da quando ho cominciato a correre fino ad oggi. La passione nello sport, secondo me, è assolutamente determinante. Tanti mi considerano un atleta “longevo” perchè che corro dal 1982….ancora oggi mi appassiono alle gare. Recentemente ho partecipato ad una gara di 100 km. La passione è quello che ti permette di correre un po’ più a lungo, di divertirti e di non farti sentire il peso della fatica. Se si corre senza passione, la stanchezza prende il sopravvento!
Come riesci a conciliare il tuo lavoro con la tua passione?
Mi reputo fortunato perché adesso la mia passione è anche il mio lavoro. Per anni ho fatto il tassista per vivere, andavo a correre prima e dopo il turno di lavoro. Penso che si possano conciliare le due cose e per farlo sia sufficiente volerlo e avere un po’ di tempo a disposizione. Io potevo permettermi di lavorare qualche ora in meno e l’ho fatto.
Durante una ultramaratona a che cosa pensi?
Quando si sta correndo a certi ritmi non si pensa molto, io mi concentro sulla gara e non riesco a distrarmi. Può capitare di vedere qualcosa che mi colpisce, ma torno subito al ritmo che sto tenendo, ai km che ho fatto, alla proiezione finale del tempo e alla posizione. Ed il resto scompare.
Quale è stata la vittoria più importante per te?
Probabilmente la mia prima vittoria nella 100 km del Passatore nel 2006 che mi ha aperto un mondo con le gare da 100 km. Aggiungerei anche il mio primo mondiale vinto sulla 100 km, perché un mondiale è pur sempre un mondiale. Una grande soddisfazione.
Durante il lockdown che cosa hai escogitato per allenarti viste le limitazioni?
Non ho avuto grandi problemi ad allenarmi, perché avevo il tapis-roulant – tra l’altro vinto in una gara – e quindi potevo correre quotidianamente senza dar fastidio alle persone ed evitando polemiche inutili. Dopo aver utilizzato il tapis roulant per più di un mese, quando sono uscito per strada la prima volta, mi sono accorto che non era la stessa cosa; sia a livello mentale che a livello di prestazione, correre sul tapis roulant è un meno stimolante e l’allenamento è meno efficace. Comunque meglio di niente!
Qual è stata la tua gara più difficile?
Forse la gara più difficile a cui ho partecipato è stata quella con cui ho poi aperto il libro “Correre è la mia vita”, ovvero un mondiale in Qatar, dove partivo con il numero uno perché avevo vinto l’edizione precedente, quindi avevo tutti gli occhi puntati addosso. Dopo 46-47 km di gara ho avuto una crisi, mi sono dovuto fermare addirittura un quarto d’ora seduto per terra, per poi riprendere ed è stato complicato. Un’altra gara molto difficile l’ho corsa nel deserto del Gobi, sempre una 100 km, non mi ero portato sali minerali a sufficienza, a causa dei crampi fu molto complicato arrivare alla fine.
A che cosa hai dovuto rinunciare in favore dello sport?
A nulla! Questi termini secondo me non andrebbero “usati”. Ognuno fa delle scelte e se io ho scelto di correre anziché andare al cinema, non è che ho sacrificato l’andare al cinema, ma ho scelto di correre. Quindi assolutamente non penso di aver rinunciato a nulla: ho fatto la mia vita, ho corso e mi sono divertito.
Che cosa pensi del doping?
Sul doping mi sono sempre schierato in maniera molto ferrea, penso che sia un reato e che purtroppo, spesso, non viene trattato come tale. Quando una persona viene trovata positiva al doping, la si squalifica per due o tre anni. Secondo me, la positività al doping è un furto sia a danno degli atleti ai quali vengono tolti medaglie e onori, sia a danno dei tifosi ai quali viene sottratta la fiducia e il piacere dell’agonismo autentico. È assurdo decidere solo di una squalifica di due anni, chi è positivo al doping andrebbe condannato ad una vera pena.
Qual è il tuo stile di vita e i tuoi valori?
La mia vita è molto semplice. I miei valori sono sicuramente la libertà, il volersi sentire libero, sempre nel rispetto degli altri. Non mi piace la vita estremamente mondana, ma non è un sacrificio, è una scelta. Mi alleno una o due volte al giorno ed ho un negozio con mia sorella dove, quando ho tempo, vado a dare una mano. Per il resto faccio una vita come tutti.
C’è solidarietà con gli altri maratoneti durante le gare?
Ci sono persone con cui instauri subito un rapporto di solidarietà, altri che ti vedono come un avversario, però – per fortuna – nello sport della corsa sono molte più le persone solidali. Quindi ci si passa l’acqua – anzi, passava – quando non c’era il problema del Covid. Oppure ci si dava il cambio per dare il ritmo. Ci si aiuta finché si riesce a stare sullo stesso passo.
E ora, quali sono i progetti per il futuro?
Cercare ogni volta di migliorarmi, che non vuol dire in senso assoluto ma migliorarmi rispetto all’ultima gara, e soprattutto di riuscire a correre stando bene, perché quello a cui tengo, in fondo, è questo e sono anche i valori che cerco di trasmettere ai più giovani. Bisogna arrivare al traguardo felici, contenti, perché alla fine sì è uno sport faticoso, magari per molti può essere un lavoro, però è anche una bella passione. Ricordo sempre la frase di mio nipote quando da piccolino mi diceva “giochiamo a correre”, che poi è quello che ho sempre fatto io: correre e cercare di farlo con il massimo divertimento possibile.
Nel tuo libro parli spesso di tuo padre, gli devi molto?
Ho cominciato a correre grazie a lui e sempre grazie a lui ho creato il mio stile di corsa, mi diceva sempre di ascoltarmi, di ascoltare me stesso. Mentre molti mi dicevano: “Fai troppe gare, ti farai male”, lui mi ripeteva: “Ascoltati, perché la cosa più importante è che tu ascolti te stesso”. Non solo mi ha portato a correre, ma mi ha anche insegnato la filosofia giusta per poter durare tutti questi anni. Devo molto a lui, gran parte delle mie vittorie.
“Ascolta te stesso”, era filosofo tuo padre, bisogna conoscere i propri limiti e per ogni cosa…
Esatto, mi diceva: “Ascolta gli altri, ma poi ragiona sempre con la tua testa, tieni conto dei pareri altrui, ma poi fatti una tua idea”. E questo è stato per me un grande insegnamento nella vita .Mentre corro mi ascolto, è un modo di conoscermi diverso dalla prospettiva filosofica , mi conosco perchè mi ascolto! E più ascolto me stesso, più mi avvicino alla libertà!
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