INTERVISTA AL CANTAUTORE ROBERTO CASALINO
Roberto Casalino, cantautore, paroliere e compositore, inizia la sua carriera nel 2001. Firma canzoni di diversi artisti italiani: Giusy Ferreri, Marco Mengoni, Elisa, Francesco Renga, Nina Zilli, Emma Marrone, Dear Jack, Francesca Michielin, Fedez, Alessandra Amoroso, Le Vibrazioni, Antonello Venditti e tanti altri. Come cantautore ha pubblicato quattro album: “L’atmosfera nascosta” (2009), “Il fabbricante di ricordi” (2019) e “Il fabbricante di ricordi. Live” (2020). Il 3 giugno 2022 è uscito il suo ultimo singolo: “L’Ultima” (per maggiori info si rimanda ai social dell’artista).
In questo numero dedicato alla Festa della Musica, l’Argonauta è il cantautore Roberto Casalino. La Redazione Argomenti lo incontra il 24 maggio alle ore 11, l’intervista online avviene in un incastro perfetto di giornata densa: durante l’intervista scopriremo che proprio quel martedì alle 14 avrebbe presentato il suo ultimo singolo “L’Ultima”. Roberto Casalino ha condotto una Masterclass di Musica presso lo Spazio Potenziale Argolab 2. Sono stati tre pomeriggi intensi di lavoro e condivisione di parole e note dei partecipanti, guidati con cura da Casalino, che hanno portato alla scrittura e alla composizione di un brano originale dal titolo: “Le mie cicatrici”. L’incontro umano e professionale con Roberto è autentico e prezioso. L’intervista ripercorre l’esperienza della Masterclass e raccoglie alcune domande che i giovani dello Spazio Potenziale hanno voluto rivolgergli.
Come nasce la tua passione per la musica?
La passione per la musica mi accompagna da sempre. Non ho ricordi senza musica; che fosse quella dei jingle pubblicitari, dei grandi classici o il suono di strumenti musicali, fin da bambino io la cantavo e la ballavo. Per me musica significa ritmo e gioia! Provengo da una famiglia modesta e, per ottenere qualcosa, era necessario saper aspettare e fare il triplo dei sacrifici. I miei genitori sono stati molto attenti ad assecondare questa mia passione e, se volevano farmi felice, invece del pallone da calcio o le costruzioni, mi regalavano una musicassetta. Mio zio aveva una libreria discografica immensa e sono cresciuto con le canzoni di Mogol, dei Deep Purple, dei Pink Floyd; ascoltavo Ivano Fossati, le grandi voci di Mina e Mia Martini. Quando ho iniziato a formare un gusto personale, sono passato a Madonna: ero un bambino madonnaro degli anni 80! Mia madre ascoltava Nino D’Angelo, anche queste reminiscenze sonore napoletane fanno parte della mia cultura. Ho ascoltato veramente di tutto e sono grato per questa libreria infinita che mio zio mi ha fornito, perché mi ha aperto la mente e fornito le basi della mia conoscenza musicale.
I tuoi testi raccontano frammenti di vita, esperienze in cui ciascuno può identificarsi.
Puoi raccontarci il processo creativo che ti conduce a scrivere una canzone?
Il 99% di quello che scrivo è autobiografico, nei miei brani ci sono tutte le emozioni che vivo e che provo. Cerco sempre di arrivare nel profondo, di comprendere quello che succede dentro e intorno a me. A volte questo provoca riflessioni e sofferenze che potrei risparmiarmi, ma fortunatamente sono una persona che non si spaventa. La scrittura è diventata, con il tempo, anche una forma di terapia e di comprensione a mente lucida di quello che accade.
Le mie canzoni nascono nei momenti più disparati: mentre faccio la spesa o passeggio, a volte capita a cena con gli amici. Vengo colto da una parola, da un’ispirazione e allora mi isolo. Chi mi conosce lo sa! Non è maleducazione, è semplicemente necessità di fermare quel momento, quelle parole; successivamente, in un momento di calma le riprendo.
Se l’ispirazione arriva mentre sono libero, ci lavoro subito, sono le situazioni migliori, perché nel giro di una manciata di minuti, possono nascere grandi idee.
Nei miei testi punto molto all’autenticità di quello che racconto, non riuscirei a parlare di qualcosa che non mi sia capitato o che non abbia provato.
Collabori con artisti affermati di calibro internazionale e giovani emergenti durante la loro preparazione in famosi Talent; c’è una differenza?
Non faccio una differenza; cerco, se possibile, di scegliere con chi lavorare. Questo non è sempre possibile, soprattutto con gli emergenti; in questo caso deve scattare quel qualcosa che ti porta a voler intraprendere un percorso e che può essere più o meno lungo, anche incerto a volte.
Nella musica non c’è nulla di certo! Questo è ancor più vero oggi con un’emergente e col timore di affidare una mia creatura. In passato mi è capitato di investire proprio su persone che stavano affrontando il loro percorso in un talent; queste persone però mi hanno colpito, qualcosa in loro mi ha catturato e già questo è un successo che nulla ha a che vedere con il risultato finale, con l’aspetto numerico o economico del fenomeno. Ho ricordi di lavori con artisti che hanno avuto meno successo popolare, ma che hanno saputo rendere giustizia alla mia canzone; è un successo anche questo!
Questo con gli artisti; invece partecipare a Sanremo o in un Talent famoso può incidere sul processo creativo?
L’aspetto creativo, cerco di lasciarlo sempre al di fuori di quelle che sono le dinamiche del contesto in cui poi la canzone verrà presentata. Il Festival di Sanremo oggi, e soprattutto negli ultimi anni, è diventato il rilancio della musica italiana e c’è maggiore attenzione nei confronti della proposta musicale. Una proposta che ora è molto più al passo con i tempi. Autori come me, che hanno una scrittura classica, più cantautorale, fanno fatica a trovare interpreti giusti che possano portare le loro creazioni su quel palco.
Io, comunque, non faccio mai differenza tra le cose che scrivo e che tengo per me o che do ad altri: sono sempre canzoni che scrivo per me.
Quando lavoro in studio con artisti affermati mi capita di essere influenzato dalla loro visione; questa è una possibilità di una contaminazione reciproca che porta sempre a qualcosa di nuovo. La contaminazione è sempre un’occasione di arricchimento e di crescita sia artistica che umana.
Presso lo Spazio Potenziale Argolab 2 ti abbiamo visto lavorare con generosità, professionalità e pazienza, hai una grande capacità di ascolto. Dal percorso della Masterclass con i ragazzi è nato un brano: “Le mie cicatrici”. Ci vuoi raccontare le tue impressioni?
È stata un’esperienza sorprendente, nel senso che non mi aspettavo nulla. Io non mi aspetto mai nulla dalle cose: non mi piace immaginare, cerco sempre di farmi sorprendere.
È stato molto bello il modo in cui sono riuscito ad entrare in comunicazione con i ragazzi; quando ci si incontra per la prima volta bisogna sempre trovare una chiave di accesso anche all’emotività e al modo di pensare altrui. Se non si trova la chiave, rimane una barriera.
Io sono arrivato dall’esterno e non mi conoscevano, se non appunto per nome. È stato bello vedere come, dopo i primi venti minuti, la barriera fosse stata completamente abbattuta e anche negli incontri successivi, con molti ragazzi – i più assidui – è stato facile legare.
È stata un’esperienza per me molto forte; anche vedere come sono nate le idee, quanto i ragazzi abbiano messo impegno, creatività e probabilmente sono io la persona che si è arricchita di più!
Il brano “Le mie cicatrici” è opera nostra, una creatura nata insieme!
È stato bello riuscire a coinvolgerli; era la prima volta che conducevo una Masterclass in uno spazio legato alla salute mentale. Di solito, mi trovo a lavorare con classi di allievi che suonano o scrivono per mestiere o studiano per intraprendere questa professione, per cui il risultato in questa occasione era un’incognita totale.
Nel momento in cui si crea un canale comunicativo, tutto viene da sé e questo è quello che è avvenuto! È stato interessante affrontare i momenti in cui ad alcuni non piaceva una parola, una visione del brano e abbiamo lavorato insieme per trovare quella più in sintonia con quello che volevamo comunicare. È stato un percorso impegnativo e dinamico! I ragazzi non sono stati passivi: sono stati elementi attivi del processo creativo di qualcosa che porteranno sul palco. Ed è bello!
Spesso c’è reticenza ad affrontare il tema del disagio psichico, tu cosa ne pensi?
È vero, c’è molta reticenza e il tema del disagio mentale può essere delicato da affrontare. Io ho una mia visione chiara e molto semplice, non vorrei essere frainteso, ma: chi di noi non ha o non ha avuto difficoltà psicologiche? Non sto parlando dal punto di vista prettamente clinico, ma da un punto di vista di struttura, di comportamenti o cattive abitudini nel fare, nell’agire, nel pensare; se partiamo dal punto di vista delle cicatrici, tutti noi ne abbiamo! Penso che tutto ciò che spaventa sia perché non si conosce; se le persone avessero l’interesse di comprendere, piuttosto che rifarsi a pregiudizi, se dedicassero anche solo dieci minuti ad approfondire l’argomento, allora si renderebbero conto che non ci sono differenze. Durante l’esperienza con i ragazzi di Argolab, nelle ore passate con loro, io non pensavo a dove mi trovassi o perché loro erano lì, non l’ho mai considerato. Nella vita ho incontrato persone che definiscono sé stesse normali, eppure nella relazione non sono state sempre così stabili ed equilibrate.
A questo punto il significato di disturbo psichico cambia! È chiaro che in un luogo come Argolab ci sono ragazzi che stanno lavorando su sé stessi, che hanno difficoltà che necessitano di attenzione e approfondimento. Penso che sarebbe più facile comprendere questi temi se tutti ci ponessimo sullo stesso livello e avessimo interesse a conoscere l’altro; probabilmente non sarebbero necessarie queste differenziazioni che diventano barriere e le barriere finiamo per metterle noi a priori, senza conoscere.
Ad Argolab non c’è stato un momento in cui io pensassi di trovarmi in una situazione che non mi appartenesse. Un’iniziale difficoltà comunicativa si può avere con chiunque; ad esempio, è sufficiente che una classe di allievi sia più respingente, che emerga una difficoltà nel comunicare, la barriera c’è anche se stai facendo la cosa più bella del mondo: la musica!
Inoltre, durante la Masterclass, i ragazzi volevano comunicare qualcosa, scrivere un loro brano e avere stimoli nuovi.
In realtà la bellezza di questo incontro è il risultato: loro hanno imparato a conoscere meglio me ed io ho imparato a conoscere loro. Una cosa che ci ha avvicinati e che ha creato un canale comunicativo, è stato il momento in cui loro hanno saputo che anche io vengo da un percorso di psicoterapia. I ragazzi seguono un percorso di terapia, anch’io l’ho avuto; vengono dalla borgata, io venivo dalla borgata; sono ragazzi che hanno sogni come io ho i miei sogni. Siamo tutti sullo stesso livello!
Stai facendo un’osservazione molto interessante anche su come un contesto istituzionale, in questo caso lo Spazio Potenziale Argolab 2, sia importante per veicolare un’informazione efficace. Puoi approfondire?
Ad Argolab c’è stata una comunicazione reciproca, una volontà reciproca di conoscersi. La presenza di difficoltà psichiche è stata un’informazione in più che si è mostrata del tutto irrilevante per il lavoro insieme. Tutti stavamo facendo musica! Stavamo condividendo tempo, idee, impegno per la creazione di un brano musicale! Sapere di trovarmi in uno spazio di cura, mi permetteva di contestualizzare alcuni eventuali comportamenti. Voglio, però, essere chiaro: nessun comportamento che non abbia incontrato in qualsiasi altro luogo!
Questo mese il 21 giugno ci sarà la Festa della Musica. Il tema di quest’anno è Recovery Sound & Green; vuoi fare una considerazione sul significato di questa Festa in questo preciso momento storico e sociale?
La Festa della Musica quest’anno ha una valenza maggiore: dopo due anni di pandemia tutti stiamo ritornando alla normalità, anche il settore dello spettacolo sta riprendendo i suoi ritmi. Quest’anno la Festa della Musica è una celebrazione ancora più forte e sentita. Tutti abbiamo bisogno di musica e condivisione. Il nostro palco sarà allestito in uno dei quartieri popolari romani più che amo di più: la Garbatella.
Spero in una ripresa definitiva, senza altri stop forzati. Le problematiche che seguono questi due anni di pandemia sono sicuramente economiche, ma l’impatto più forte si sente a livello sociale, a livello delle relazioni umane. Abbiamo bisogno di condivisione vera e fare musica insieme, unisce.
Ti sei chiesto come mai un servizio pubblico che si occupa di salute mentale abbia deciso di organizzare un evento come la Festa della Musica. Cosa ne pensi?
Innanzitutto, c’è la parola Festa, quindi di per sé è già una buona motivazione. La Festa della Musica sarà occasione di creare sensibilizzazione proprio attraverso la musica che è un linguaggio universale.
L’organizzazione di questo evento da parte di un servizio pubblico, secondo me, potrebbe essere il primo passo verso una modalità comunicativa che dovrebbe diventare abituale. Quest’occasione permette di vivere e conoscere l’aspetto sanitario, come forma di condivisione al di fuori delle strutture istituzionali. Scendere in strada, suonare in piazza, fare attività al di fuori dell’ambito strettamente clinico, è una bellissima iniziativa! Spero siate d’ispirazione a molti. Comprendo come tutto questo comporti sacrificio, investimento economico, tempo e tante ore di lavoro, dietro questi eventi c’è molto impegno che state facendo a 360 gradi, in modo completo. Personalmente, se non fossi entrato in contatto con la vostra realtà, non avrei potuto conoscervi, probabilmente perché alcune informazioni non mi arrivano.
Per i giovani, avere un obiettivo, portare a termine un compito importante, partecipare ad eventi stimolanti come la Festa della Musica e da protagonisti, mettersi alla prova su un palco, suonare, cantare di fronte ad un pubblico ha ripercussioni importanti e, sto parlando da persona ignorante in materia, ma penso possa aggiungere risultati al percorso clinico che già stanno affrontando. Ai ragazzi che ho incontrato non manca nulla! A proposito, condivido una riflessione sulla parola normalità: la usiamo spesso, ma ha un’accezione sbagliata secondo me. Il mio motto, che ho tatuato sul braccio, è: “Piuttosto che essere normale, ho scelto di essere felice”. La cosiddetta normalità, la lascio ad altri; io scelgo la felicità: la mia condizione di normalità coincide con la felicità.
Nel 2020 è uscito il tuo ultimo lavoro. “Il Fabbricante di Ricordi. Live”; hai altri progetti musicali in corso?
Sì, il 3 giugno uscirà il mio nuovo singolo: “L’Ultima”. Inizierà un nuovo progetto suddiviso in più uscite di singoli con cadenza di due, tre mesi, fino ad arrivare l’anno prossimo alla pubblicazione del nuovo album: fabbricheremo nuovi ricordi, nuovi momenti di condivisione.
Sabato 16 luglio alle 21 a Nettuno (Roma) terrò un concerto nel Teatro Spazio Vitale, con performer e ospiti. Riproporrò tutte le mie canzoni, anche quelle scritte per altri, e il mio repertorio. Sarà un momento di grande condivisione e di festa, vi invito con gioia ad esserci! Il concerto è curato sia nell’aspetto musicale che nell’aspetto visivo: ci saranno molte performance sul palco. Sarà un concerto ricco di significato (per chi volesse partecipare i biglietti sono in prevendita sul sito ciaotickets.com).
Mentre lo ringraziamo dell’invito e del tempo che ci ha concesso in una giornata così importante per lui, sentiamo il richiamo insistente di un gatto. Roberto ci sorride e ci presenta la sua gattina Puzzola, come è avvenuto durante tutta l’intervista parla della sua quotidianità con spontaneità e generosità. Ci salutiamo con un sorriso e con gli appuntamenti del 21 giugno per la Festa della Musica a Roma, e del 16 luglio per il suo concerto a Nettuno.
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